Decidere di scrivere un articolo sulla coazione a ripetere dopo aver ascoltato con attenzione un brano interpretato dalla grande Mia Martini, è una cosa che mi lascia particolarmente impressionato.
Per interderci, la coazione a ripetere è un processo psichico, identificato per la prima volta da Sigmund Freud. Tale processo fu una risposta alle ricerche di Freud stesso sul principio del piacere ed il rapporto tra questo e gli esseri umani. Chi conosce Freud sa bene che lo stesso, concentrava i suoi studi sull’interpretazione onirica e quindi dei sogni, riportati dai suoi pazienti. Osservando i racconti, ed analizzando i sogni di alcuni veterani di guerra, notò che molti di loro raccontavano e rivivevano l’esperienza traumatica durante i sogni, con aspetti ricorrenti ed angoscianti. A queste esperienze, Freud aggiunse l’esempio di un bambino, serio ed educato, spesso lasciato solo in casa dalla madre. Questo bambino era solito giocare, riporta Freud, lanciando un giocattolo legato ad un filo lontano da lui dicendo “via!” per poi tirarlo a se stesso pronunciando allegramente la parola “qui”.
Le conclusioni di Freud furono quindi quelle che il bambino durante i suoi giochi, ripeteva un’esperienza dolorosa (distacco della madre) come se questa nuova esperienza (non certo piacevole) gli potesse regalare un piacere “diverso”.
Gli esseri umani cercano conforto nel familiare.
Freud chiamava questa costrizione alla ripetizione, come “il desiderio di tornare a uno stato precedente delle cose“.
Questo prende forma in compiti semplici. Magari si guarda il proprio film preferito più volte, o si sceglie lo stesso antipasto nel proprio ristorante preferito. Comportamenti più dannosi includono il frequentare ripetutamente persone che potrebbero abusare di te emotivamente o fisicamente. o l’uso di droghe quando si è sopraffatti da pensieri negativi. Freud era più interessato ai comportamenti dannosi che la gente continuava a rivisitare, credendo che fossero direttamente collegati a ciò che lui chiamava “la pulsione di morte“, o al desiderio di non esistere più.
Ma ci può essere una ragione diversa.
Potrebbe essere che, molti di noi sviluppino nel corso degli anni modelli positivi o negativi, che diventano poi radicati. Ognuno di noi crea un mondo soggettivo scoprendo ciò che funziona. Nei momenti di stress, di preoccupazione, di rabbia o di un’ altra situazione particolarmente emotiva, ripetiamo ciò che ci è familiare e ciò che ci fa sentire al sicuro. Questo crea ruminazioni di pensieri e modelli negativi nelle reazioni e nei comportamenti.
Per esempio, una persona che lotta con le insicurezze e la gelosia si accorgerà che quando il partner non risponde immediatamente a una chiamata o ad un messaggio, la sua mente comincia a vagare e direzionarsi verso pensieri negativi e sbagliati. I pensieri cominciano ad accumularsi ed a sopraffare emotivamente la persona, il che porta a false accuse e a danni involontari ma concreti alla relazione.
Nonostante non voglia reagire in questo modo, la persona ha creato un modello, nel corso degli anni, che poi le diventa familiare. Reagire in modo diverso, anche se più positivo, sarebbe un sentimento di estraneità. Quando qualcuno ha fatto qualcosa allo stesso modo per anni, continuerà a farlo, anche se ciò causa danni sia a se stesso che agli altri (definizione semplice di coazione a ripetere)
Le persone ritornano, nella coazione a ripetere, anche agli stati precedenti se il comportamento è in qualche modo gratificante o se conferma l’autostima negativa. Per qualcuno, l’autolesionismo, in un periodo di sofferenza emotiva, è un comportamento che allevia momentaneamente il dolore anche se in seguito l’individuo prova vergogna per questo. Nell’esempio di una persona che entra continuamente in relazioni abusive e tossiche, potremmo scoprire che è molto insicura e non crede di essere degna di essere accudita.
Ma esistono anche altri esempi, più gravi.
Una serie di gesti stereotipati tipici come ad esempio quelli del giocatore d’azzardo o dei bulimici, la necessità di assumere comportamenti e reazioni che non producono un risultato, non risolvono niente e, proprio per questo, hanno bisogno di essere continuamente ripetuti. Se parlate con qualche psicoterapeuta chiedete se, queste persone, seppur mettendo in atto azioni o comportameni positivi rimangono contenti (ovviamente no).
Veniamo a Mia Martini
La canzone che ha ispirato questo articolo è Minuetto, scritta da Franco Califano che cucì addosso questo testo a Mia Martini nel lontano 1973. Riporto il Video della canzone, se non volete ascoltarla tutta, andate al secondo 0.42.